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Archivi della categoria: Settimane teologiche Camaldoli

Camaldoli 2015 – Famiglia, missione e vocazione 3 (prof.ssa Colombo)

25 martedì Ago 2015

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baccello, famiglia, sociologia

Definizioni e modelli di famiglia

La famiglia è stata definita come un gruppo sociale formato da adulti, di sesso diverso, socialmente approvato, con residenza comune, caratterizzato da cooperazione economica, finalizzato alla riproduzione. Viene descritta come un gruppo primario, in cui si possono interiorizzare i valori della società (in questo senso la famiglia crea la società): l’aspetto normativo consente una socializzazione primaria profonda, più ancora della scuola o di altre “agenzie educative”. È una invariate sociale in tutte le popolazioni umane. Secondo la teoria evoluzionistica, formulata a metà Ottocento, anche la società modifica la famiglia: veniva infatti interpretato così il passaggio dal modello patriarcale stabile, tipico della società agricola, utile a mantenere la proprietà in divisa, a quello della famiglia nucleare, tipico della società industriale in cui l’eredità è individuale. La teoria sistemica, più recente (1950), descrive invece la famiglia come un centro di integrazione funzionale alla soddisfazione dei bisogni dell’individuo e quelli della società. Al suo interno c’è una complementarietà perfetta tra bisogni e offerte. I nuclei familiari possono essere classificati in base a un asse verticale normativo e uno orizzontale affettivo. Oggi probabilmente il codice affettivo prevale molto spesso su quello normativo, in quanto l’applicazione della norma è vissuta dai genitori assieme al rischio di perdere l’affetto.  L’immagine dell’albero per descrivere la famiglia, che sottolinea rapporti gerarchici di dipendenza, potrebbe oggi essere sostituita dall’immagine del baccello, che descrive un campo più ristretto, ma permette di tematizzare relazioni più intense e paritarie. In base al capitale sociale, cioè rispetto a quel patrimonio di legami instaurati all’interno del gruppo (tipo bonding, esclusivi) e all’esterno (tipo bridging, inclusivi) di cui è dotato ogni individuo, le famiglie possono essere descritte come responsabili (alti entrambi), protettive (basso bridging), discrasiche (basso bonding) e fragili (bassi entrambi).

Qualche dato

Dal ’77 l’indice di fecondità è sceso sotto la soglia di ricambio (2,1 figli per donna): oggi in Italia è pari a 1,39, sostanzialmente stabile dopo un nadir nel ’98 (leggera ripresa dovuta a donne straniere, che però subito sembrano aver preso le abitudini riproduttive italiane). Questo fatto sta determinando un calo demografico che tende ad avviarsi su se stesso. È aumentata l’età del primo parto e, se multipli, i parti si sono concentrati in un arco temporale più ridotto. Non sono solo fattori economici a limitare il numero di figli, ma sembra essersi ridotto alla base il desiderio di figli (sempre maggiore tra gli uomini che tra le donne). Tant’è vero che è caratterizzato da maggiore fecondità il Meridione, più povero, e non le regioni settentrionali. Il matrimonio è visto spesso come un modo per istituzionalizzare un rapporto dopo la nascita di un figlio. Nel frattempo è aumentato il numero di famiglie anagrafiche, mentre si è ridotta la numerosità dei nuclei familiari (per l’aumento delle famiglie unipersonali – siano esse formate da celibi, vedovi o separati): questo è il dato che sottolinea maggiormente l’esplosione del modello famigliare. Dagli anni ’70, con l’avvento dei contraccettivi e la legalizzazione dell’aborto,  non è servito più avere dei figli per sentirsi realizzati: in particolare i padri sono divenuti completamente dipendenti dalle mogli rispetto al desiderio di avere figli (che questo abbia contribuito all’incremento di episodi violenti in famiglia a carico delle donne è una ipotesi). Secondo sondaggi più volte ripetuti, la famiglia per gli italiani è da sempre il valore più condiviso (il 90% la considera importante o molto importante); il lavoro è al secondo posto (60%) – la politica sta all’ultimo ( tra i rappresentanti delle istituzioni solo forze dell’ordine e insegnanti si salvano), la religione raggiunge il 30%. Per la maggioranza degli italiani la famiglia è fondata sul matrimonio (almeno fino a qualche anno fa), ma solo il 60%, anche tra coloro che si dichiarano cattolici, ritiene che i coniugi debbano essere di sesso differente (solo gli islamici sono compatti nell’escludere il matrimonio omosessuale).

Pro e contro

La famiglia nucleare moderna può curare meglio i figli, e i rapporti coniugali sono più simmetrici. I figli della famiglia lunga d’altra parte hanno più tempo per assimilare i modelli genitoriali. Si è notato che chi vive in famiglia ha uno stato di salute e una speranza di vita migliore rispetto a un single. La famiglia italiana è però straordinariamente lunga, con una quota di ragazzi over 25 che vivono con i genitori molto più alta che in qualsiasi altro Paese d’Europa (70% e 50% rispettivamente per maschi e femmine contro il 25% e 10% europeo): le motivazioni addotte dai ragazzi sono prevalentemente i motivi economici o il fatto che in famiglia “si sta bene”. Niente in effetti è gratuito come la famiglia, e svolge come essa tutte le funzioni (è sovrafunzionale rispetto a scuola, sport, ecc), colloca nel mondo e permette all’individuo di formarsi una identità, necessaria per formare una nuova famiglia.

Creare una nuova, propria famiglia sarà per le nuove generazioni una sfida che dovranno affrontare in prima persona – ma questo non può giustificare il disinteresse delle generazioni precedenti e delle famiglie più “vecchie”.

Prof.ssa Maddalena Colombo (cattedra di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università Cattolica)

Camaldoli 2015 – Famiglia, missione e vocazione 1 (prof. Dalla Vecchia)

24 lunedì Ago 2015

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uomo donna bibbia creazione Paolo vangelo

La famiglia nell’Antico Testamento

Nell’AT la famiglia rappresenta la condizione abituale di vita per ogni ebreo (il celibato non viene contemplato); può essere descritta da un punto di vista antropologico come patrilineare (solo nella diaspora diviene matrilineare), patriarcale, patrilocale ed endogamica (ci si sposa generalmente tra affini, appartenenti allo stesso clan o tribù). La poliginia, per quanto non comunemente, sembra praticata, come segno di distinzione sociale o per garantire una discendenza, e non viene mai condannata esplicitamente. L’orizzonte culturale, in categorie moderne, potrebbe pertanto essere connotato sommariamente come maschilista. Si riteneva che solo maschile fosse il seme, mentre alla donna spettasse solo una funzione recettiva. Il matrimonio, non fondato sull’affetto quanto su un patto di interessi dipendente dalle decisioni familiari piuttosto che individuali, non era regolato da norme esplicite, ma solo dalla prassi. Vedeva una prima fase, di contratto (quella in cui si trovava Maria, promessa sposa di Giuseppe) generalmente stipulato in età puberale e una seconda fase, completiva, con la quale iniziava la convivenza. Il divorzio, previsto solo per il marito, era giustificato solo qualora si scoprisse qualcosa di indecente nella propria moglie (e su cosa potesse essere considerato tale il dibattito rabbinico era rovente anche ai tempi di Gesù): un ripudio ingiustificato era oneroso, in quanto comportava la restituzione della dote. L’adulterio, punito con la morte, poteva essere perpetrato solo dalle donne nei confronti dei loro mariti. Appare pertanto evidente che le realtà sociali nella storia del popolo ebraico non siano sempre state il riflesso (anzi talvolta apertamente contrastino)  rispetto alle affermazioni teologiche (ad esempio Gen 2,24: l’uomo lascerà suo padre e sua madre, mentre in pratica era la donna a trasferirsi nella casa del marito). Solo tardivamente, come testimoniato dal Siracide (molto vicino ai tempi di Gesù), le si prenderà in maggiore considerazione. Le influenze culturali, che progressivamente si evolvono e si perfezionano, pur senza scomparire, vanno dunque tenute presenti nella traduzione pastorale di questi passi.

I racconti della creazione

Si potrebbe leggere l’accostamento del primo racconto della creazione (molto originale, unicum nella Mesopotamia) al secondo (con elementi comuni ad altri miti locali) come la volontà di affermare la propria fede in alcuni elementi condivisi con altri popoli pur non essendo dei semplici ripetitori. Si rileva inoltre che il Dio biblico non si avventura in relazioni erotiche: l’assenza di miti sulla sessualità segna la rinuncia a fondare in Dio la sessualità umana. La creazione della donna da Adamo viene descritta come un’attività strettamente divina, un dono di Dio per l’uomo: non un semplice bisogno psicologico, ma un “aiuto di fronte (lett. contro) a lui” che gli consenta l’esperienza dell’alterità. Da ciò sembra discendere, come conseguenza umana, psicologica, l’abbandono da parte dell’uomo della casa di suo padre e sua madre.

Dio sposo nell’AT e nel NT

Il Dio biblico, se non si innamora nel mito, è pur vero che si innamora, ma storicamente, del popolo di Israele. Tuttavia il suo amore per Israele, detto vulnerabile per l’abbandono alla libertà dell’uomo, non ha l’intento di descrivere il modello del matrimonio umano: Dio infatti vìola numerose regole veterotestamentarie nel suo rapporto con Israele: ad esempio, nel momento stesso in cui decide di perdonare la sua amata infedele (addirittura, di renderla nuovamente vergine) anzichè ucciderla perchè adultera. Piuttosto, l’amore talvolta sensuale, talvolta geloso di Dio descritto dai profeti potrebbe essere considerato una metafora (di successo) per spiegare il mistero della storia del popolo d’Israele nel bene e nel male con una immagine familiare al popolo. L’immagine paternalistica del Dio geloso oggi potrebbe essere criticata (e lo è stata, da certa teologia femminista) per il suo maschilismo conservatore, ma non serve (non è mai servita) per giustificare lo stesso comportamento in ambito familiare.

Nel NT l’immagine dello sposalizio è ripresa innanzitutto da Giovanni: è lui secondo sant’Agostino (Discorso 239,7) il paraninfo, l’accompagnatore della sposa su delega del padre, che la prepara alle nozze. Lui che sente nel deserto annuncia il ritorno della voce dello sposo, assente da Gerusalemme nel periodo dell’esilio (Ger 25,10), ma che pure doveva tornare (Ger 33,11). Paolo poi ai Corinzi (2Cor 11,2) scrive di averli fidanzati a Cristo: dunque il contratto è rato ma il matrimonio non ancora consumato. Resta perciò l’attesa della Chiesa per il Signore, che dice nell’Apocalisse: ecco, vengo presto (Ap 22,12). Agli Efesini Paolo si rivolge con due immagini: la prima (marito cui la moglie è sottomessa come il corpo al capo Ef 5,22-24) sembra avallare una situazione sociale (un debito culturale?), che però di fronte all’avvento del Regno Paolo stesso ha relativizzato (non c’è più nè uomo nè donna… Gal 3,28): deve essere interpretata pertanto come “la reciproca sottomissione di ambedue nel timore di Cristo” (Mulieris Dignitatem, 4). La seconda immagine (Ef 5,25-33) è quella della moglie paragonata alla propria carne. Qui Paolo rievoca il passo della Genesi e lo applica a Cristo e alla Chiesa: la Chiesa come carne di Cristo, come tale amata. E con uguale amore il marito ami la moglie. In questi casi si vede come l’agire di Cristo venga presentato come il nuovo modello per l’amore dei coniugi.

La famiglia nel NT e nelle comunità cristiane

I cristiani rispetto agli ebrei iniziarono a praticare un matrimonio esogamico (alle legge dell’impurità ebraica si sostituisce l’idea di una purezza contagiosa, per cui il coniuge credente può divenire mezzo di santificazione per il coniuge non credente). Inoltre Gesù (Mc 10,9-12) ritiene che le conseguenze dell’adulterio ricadano sia sull’uomo sia sulla donna (non è più solo la donna a essere adultera). Egli poi nega che esistano motivi validi per il ripudio (Mt 19,3-12), se si eccettua le clausola, unicamente matteana, della porneia. Il passo, però, letto interamente sembra esser scritto più per giustificare la scelta del celibato per il Regno (una novità per il mondo ebraico) che per normare il ripudio o negare la salvezza a chi si macchia di adulterio; non vuole nemmeno sminuire o relativizzare il matrimonio, ma chiede il riorientamento al Regno di ogni situazione di vita. L’adultera del resto (Gv 8,1-11) non viene giustificata nè perdonata, bensì non le viene applicata la pena: Gesù così non contesta la legge ma chi la voleva applicare. Non è detto se abbia cambiato vita come Gesù le ha ordinato, ma ha ricevuto un’altra possibilità.

Di fronte a relazioni che avvertiamo sempre più vulnerabili, in quanto intese come processi “storici” dipendenti da libere volontà e per le quali il suggello di una norma giuridica può non essere sufficiente a garantirne la protezione, la revisione di alcune prassi matrimoniali può essere presa in considerazione alla luce della misericordia cui siamo chiamati (Lc 6,36).

(appunti dalle lezioni di don Flavio Dalla Vecchia, professore di Sacra Scrittura presso l’Università Cattolica, Camaldoli 3-4/08/2015)

Forse cambiare le prassi matrimoniali è il problema più piccolo… potrebbe “bastare” un Sinodo in fondo. La vera sfida dovrebbe essere quella della conversione al Regno e alla sua legge di misericordia di tutte le nostre vite, di tutte le nostre relazioni… (Giulio Bartoli)

Camaldoli 2015 – Famiglia, missione e vocazione 2 (prof. Petrà)

24 lunedì Ago 2015

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Codice Diritto Canonico, divorziati risposati, indissolubilità, misericordia

Il matrimonio nel Codice di Diritto Canononico del 1917 (Pio-Benedettino)

La sessualità umana nel Codice del ’17 viene considerata come ordinata alla procreazione, e il matrimonio come il luogo dove esercitarla lecitamente: suoi fini primari erano considerati la procreazione e l’educazione della prole, quelli secondari l’aiuto reciproco e il rimedio alla concupiscenza.

Can. 1013. §1. Matrimonii finis primarius est procreatio atque educatio prolis; secundarius mutuum adiutorium et remedium concupiscentiae. §2. Essentiales matrimonii proprietates sunt unitas ac indissolubilitas, quae in matrimonio christiano peculiarem obtinent firmitatem ratione sacramenti.

L’idea di dover porre un rimedio alla concupiscenza riflette alla lontana l’incontro di un’idea della filosofia stoica, secondo cui il saggio doveva superare affetti e passioni, ed i cataloghi di “opere della carne” presenti nelle lettere di Paolo: l’effetto di risonanza portò nei secoli successivi a sviluppare un concetto della sessualità come qualcosa di impuro, da cui sarebbe stato meglio astenersi. Il contratto matrimoniale ratificava lo scambio reciproco tra gli sposi del diritto esclusivo degli atti finalizzati ad attuare il fine primario del matrimonio (ius in corpore). Il matrimonio si costituiva con il consenso dei nubendi (secondo un principio derivante dal diritto romano, in contrapposizione agli usi germanici che vedevano nel coito il suo fondamento). In ogni caso nel CDC del 1917 il concetto di amore è assente: solo nel 1930 con la Casti Connubii l’amore coniugale inizia ad acquistare un posto all’interno del matrimonio cristiano.

Il matrimonio dopo il Concilio e nel nuovo CDC del 1981

Nella Gaudium et Spes (47-52), sull’influenza del Personalismo del filosofo Maritain e di altri teologi (anche alcuni ortodossi sfuggiti alle persecuzioni dell’Unione Sovietica, tra cui Pavel Evdokimov), il matrimonio è visto come il compimento della persona e non più soltanto un fatto giuridico. Anche se nessuno può compiersi come individuo senza che nella relazione sia garantita la giustizia e senza prescindere dalla sua cultura, il matrimonio viene considerato come qualcosa di più di un mero negozio giuridico. L’amore e il piacere sessuale non sono più visti come trucchi di natura per rendere gradevole la procreazione, ma viene attribuito loro un valore intrinseco che permette all’uomo di avvicinarsi all’amore creativo e comunionale di Dio. Il figlio non è più il fine, ma il coronamento di questo amore (a sottolineare la cooperazione tra Dio e uomo che si realizza nella coppia, gli ortodossi giungono a dire che ogni uomo nasce dai genitori e da Dio). L’amore coniugale rappresenta il sogno di Dio per l’uomo: l’uomo è descritto pertanto come un essere per la comunione, un essere sponsale. Se è vero che ogni amore umano può avere un riflesso dell’amore divino, il solo matrimonio tra battezzati che vivono già in Dio è pienamente sacramentale, e non potrebbe esistere altrimenti (non è pensabile un matrimonio soltanto naturale tra cristiani). Ogni sacramento dipende poi da un dono di grazia e dall’accoglienza di questo (fa parte di una vocazione), non escludendo infedeltà e povertà. Nella Familiaris Consortio Cristo viene presentato non come terzo estraneo all’amore degli sposi, ma come Colui che viene loro incontro: non c’è concorrenza tra amore umano e divino! Vi si afferma inoltre che missione della famiglia è rivelare al mondo l’amore di Dio, come avveniva agli inizi della cristianità.

Unicità e indissolubilità tra Oriente e Occidente

Unicità e indissolubilità del vincolo sono le due proprietà essenziali del matrimonio secondo Dio. Se in Oriente il matrimonio è considerato come un contratto umano che può essere sciolto, in Occidente si elabora l’idea di contratto unico e irreversibile. L’unicità del legame esclude la poligamia simultanea ed è il presupposto per una donazione reciproca e totale. L’indissolubilità del vincolo è intesa come intrinseca ed estrinseca rispetto alla coppia (non può essere sciolto nè dagli sposi, nè da autorità esterne agli sposi, eccetto quella del Romano Pontefice). In questo senso può essere definita ontica (mentre ha un semplice valore morale in Oriente). Nelle Chiese Orientali si ritiene che il vincolo matrimoniale duri per l’eternità, pur se trasfigurato dalla morte; viceversa, in Occidente la morte di uno dei coniugi risolve il vincolo naturale e sacramentale. Da ciò discende che in Oriente le seconde e terze nozze sono ammesse sia per i vedovi sia per i divorziati, pur se in via penitenziale (la questione tetragamica posta da un Cesare, Leone VI il Saggio, fu una eccezione alla regola), viceversa in Occidente i vedovi non hanno mai avuto limiti al numero di nozze (per quanto fino al 1983 non potessero ricevere la benedizione sponsale), mentre i divorziati non possono accedere a seconde nozze in nessun caso. Di fronte alle eccezioni matteane (si commette adulterio eccetto i casi di porneia: Mt 5,31-32; 19,9) l’Oriente ha tratto il fondamento per ritenere valide le seconde nozze in tutti i casi di adulterio, mentre l’Occidente ne ha fatto discendere la possibilità di una separazione dei coniugi, ma non di nuove nozze (la Sacra Rota emette ancora sentenze di separazione anche a tempo indeterminato in caso di violenza o adulterio). Il diritto canonico matrimoniale orientale si è sviluppato pertanto sulle cause legittime di divorzio (il mutuo consenso, dopo lunghe diatribe tra patriarca e imperatore, fu cassato); quello occidentale sulle cause di nullità (a partire dalla visione consensualistica) e sull’autorità del Romano Pontefice (che essendo vicario di Cristo, è ritenuto avere l’autorità per sciogliere il vincolo). In particolare, con lo sviluppo attorno al 1000 della dottrina dell’atto umano, si fonda il consenso sui principi di intelligenza e libertà. Per gli ortodossi invece il ruolo del consenso è inferiore, tanto che i ministri del sacramento non sono gli sposi, ma il presbitero. Il Concilio di Trento, a fronte della dottrina luterana che ammetteva le seconde nozze sulla scorta di Matteo, contribuisce a giuridicizzare definitivamente il matrimonio.

Nuovi problemi e nuove soluzioni

Oggi le strade aperte per l’accesso ai sacramenti dei divorziati e risposati sono diverse. Di fatto sono problemi esistiti da sempre (alcune soluzioni sono già praticate), ma oggi sono particolarmente accentuati per l’incremento del numero di divorzi, a sua volta associato al venir meno di quel “regime di cristianità” in atto almeno fino alla metà del Novecento.

  1. Innovamento del CDC per facilitare le cause di nullità: già fatto in parte nel 1983 dichiarando incapaci a contrarre il matrimonio coloro che mancano di sufficiente uso di ragione, coloro che hanno difetto di giudizio sui doveri e diritti matrimoniali e coloro che per cause psichiche non possono assolvere a obblighi essenziali del matrimonio (unicità, indissolubilita, responsabilità). In più oggi si propone di facilitare le procedure rendendole gratuite ed eliminando la necessità di sentenza doppia conforme.
  2. Soluzione fratello e sorella: si accetta la convivenza irregolare purché non si abbiano rapporti sessuali, che vengono considerati atti esclusivi dei coniugi. Se i conviventi ricadono, possono essere assolti se permane l’intento a mantenersi in piena continenza. Si tratta di una soluzione proposta dalla Familiaris Consortio, considerata come preferenziale dagli Orientamenti pastorali delle unioni irregolari pubblicati nel ’79. Non sempre però viene facilmente accettata dai conviventi.
  3. Soluzioni in foro interno: si fanno strada già a fine Ottocento come risposta a situazioni particolari in cui non si poteva dimostrare in foro esterno l’invalidità delle nozze (il caso ad esempio di migranti europei che si ricostruivano la famiglia in America). Poiché la Chiesa giudica solo in externiis, si rimette a al confessore la valutazione della coscienza del penitente per la necessaria assoluzione.
  4. Proposta di costituzione di percorsi penitenziali, magari sotto la diretta responsabilità degli ordinari diocesani, che aprano alla possibilità di nuove nozze o almeno di accesso ai sacramenti, sulla scorta del Concilio di Nicea (VIII proposizione) che sembra ammettere i digami alla comunione (ma si discute se all’epoca erano intesi così i vedovi o i divorziati).
  5. Proposta di considerare tra le cause di nullità anche l’assenza di fede nei nubendi: ma porrebbe dei problemi di giudizio oggettivo oltre a complicare i matrimoni con parti acattoliche.
  6. Proposta di affidare la coppia di divorziati conviventi a un presbitero che ne illumini la coscienza e spieghi loro cosa la Chiesa vuole salvaguardare, perché capiscano e giudichino in coscienza se possono o meno accedere ai sacramenti (proposta del cardinale Rahner, già sperimentata in diocesi tedesche).
  7. Proposta di considerare il fallimento del matrimonio (fine permanente del legame affettivo) alla stregua della morte fisica di un coniuge, capace quindi di sciogliere il vincolo consentendo nuove nozze.

Appunti dalle lezioni di don Basilio Petrà (professore di Teologia Morale presso la Facoltà teologica dell’Italia Centrale) Camaldoli, 5-7/08/2015

È facile avvertire come ingiusta una “scomunica” a fratelli che, magari senza colpa, hanno assistito al fallimento di un primo matrimonio e hanno iniziato una nuova relazione. Le soluzioni pratiche proposte devono riuscire a salvaguardare con adeguatezza il principio di indissolubilità del matrimonio rispettando la realtà della relazione dei conviventi irregolari. Porre nuove eccezioni al Codice rischia di aumentare la giuridicizzazione dell’istituto matrimoniale, sviando così l’attenzione dalla centralità dell’amore dei coniugi – la cui tutela dovrebbe essere il primo principio ispiratore del Codice stesso. D’altra parte, anche le soluzioni più “pastorali” rischiano di apparire contraddittorie senza un adeguato approfondimento teologico e il coinvolgimento e la maturazione di tutto il popolo di Dio nella ricerca del bene della Chiesa… (Giulio Bartoli)

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